Dalla scheda perforata al backup su cloud: storia dei supporti di memoria
5 min

All’inizio fu la scheda perforata

Dischi di carta, dischi magnetici, strati di silicio: la storia dei supporti di dati ha assistito a grandi cambiamenti, anche se esiste un tema che funge da filo conduttore a tutti i supporti di memoria.

Indipendentemente dal mezzo utilizzato, l’archiviazione dei dati rappresenta un tema cardine, da quando l’umanità è in grado di registrare informazioni. Ma sorvoliamo sulla preistoria e passiamo direttamente all’era digitale. Torniamo indietro agli anni ’60, quando i mainframe cominciarono ad affermarsi.

Gli esordi: dalla scheda perforata alla memoria magnetica

Un computer senza schermo è impossibile da immaginare ai giorni nostri. Eppure inizialmente i supporti di memoria erano delle schede perforate e l’output avveniva direttamente su una stampante ad aghi.

Scheda perforata, supporto di memoria degli anni ’60
Gli schermi con base testuale degli anni ’80 hanno ereditato la visualizzazione di 80 caratteri proprio dalla scheda perforata.

Oltre a essere faticoso, il processo era anche lento. Negli anni ’60 fecero la loro comparsa i supporti di memoria magnetici. Grandi bobine di nastro magnetico venivano utilizzate per mettere al sicuro i programmi per l’elaborazione elettronica dei dati. Di backup ancora non se ne parlava. Infatti i primi computer erano semplici macchine calcolatrici che non consentivano ancora la memorizzazione automatica dei dati.

Negli anni ’70 si è assistito a una diversificazione dei supporti di memoria. Nel 1972 IBM introdusse un disco magnetico piatto e riscrivibile di 8 pollici di diametro. Nacque così il dischetto. O meglio, il primo era già comparso nel 1969 ma era solo leggibile. Sul «disco floscio» (floppy disk) potevano essere memorizzati 80 KB. Già soltanto per l’immagine di copertina di questo articolo, di circa 240 KB, sarebbero stati necessari tre dischetti. Per lo meno, il primo dischetto offriva mille volte la capacità di una scheda perforata.

Il trionfo del dischetto

Negli anni ’70 il dischetto cominciò a rimpicciolirsi e contemporaneamente a diventare più efficiente. Quando, a fine decennio, comparvero i primi personal computer, i dischetti utilizzati presentavano un formato relativamente maneggevole da 5,25 pollici. Nella variante HD (high density) i supporti memorizzavano ben 1,2 MB di dati. A questo punto il dischetto avrebbe potuto memorizzare quattro volte l’immagine di copertina.

Floppy disk, dischetto
Il floppy disk, il «disco floscio». (Foto: IBM)

I dischetti hanno continuato a svilupparsi fino agli anni ’80 inoltrati, non solo come supporti standard di dati per sistemi operativi, programmi e dati, ma anche come strumenti di backup per il PC. Sui mainframe venivano invece ancora usati i nastri magnetici.

Verso la fine degli anni ’80, i dischetti, che a quel punto avevano un formato da 3,5 pollici, raggiunsero la loro massima capacità di memoria: offrivano uno spazio di 1,5 MB, ovvero 6 volte le dimensioni dell’immagine di copertina di questo articolo.

Backup continuo su nastro

Nel corso degli anni ’80 i nastri magnetici sono migrati dal centro di calcolo all’ufficio. In quanto strumento di backup conveniente per i server delle reti locali, il nastro ha riscontrato un rapido successo. Un nastro al giorno, e i dati sul server venivano messi al sicuro. Inoltre si è riconosciuta la longevità di questo strumento di backup, caratteristica che lo ha reso, e continua renderlo, interessante per l’archiviazione dei dati. Le attuali unità a nastro di tecnologia LTO-8 memorizzano 12 TB, e grazie alla compressione dei dati è possibile concentrare ancora più informazioni sul nastro.

Backup su nastri magnetici.
I nastri magnetici sono serviti alla memorizzazione e al backup dei dati. (Foto: Alamy)

Veloce, grande ed economico: il disco rigido

Il disco rigido ha soppiantato velocemente il dischetto. La sua superiorità si è dimostrata schiacciante: i dischi rigidi sono veloci nella lettura e nella scrittura, offrono molto spazio di memoria e sono adattati a tutte le comuni strategie di backup. E con le capacità odierne dei supporti magnetici di memoria (fino a 12 TB), un file piccolo come quello dell’immagine di copertina non ha più alcun peso.

Disco rigido esterno per il backup dei dati
Supporti di backup molto apprezzati ancora oggi: i dischi rigidi esterni. (Foto: Alamy)

I dischi rigidi esterni sono supporti di memoria adatti al backup di piccole quantità di dati, perché dopo l’operazione di archiviazione possono essere disconnessi dal computer e riposti in un armadio. I dischi rigidi esterni e i sistemi RAID (Redundant Array of Independent Disks) che eseguono mirroring dei dati presentano però alcuni svantaggi significativi. Di regola non si trovano in luoghi diversi rispetto ai calcolatori. In caso di incendio, danni causati dall’acqua o furto con scasso sussiste quindi il rischio di una perdita dei dati. Inoltre il ransomware è in grado di cifrare i dischi rigidi esterni collegati e di rendere inutilizzabile il backup.

NAS: il disco rigido in rete

Con un NAS (Network Attached Storage) è possibile automatizzare i processi di backup perché il supporto di memoria è sempre disponibile e non deve essere collegato manualmente. Un sistema comodo, che però non compensa gli svantaggi dei dischi rigidi esterni: manca infatti la separazione spaziale. E per il ransomware i NAS sono un piatto ghiotto.

Backup sul cloud

Con le dimensioni dei supporti di memoria sono cresciute anche le quantità di dati. Alla pubblicazione di Windows 3.0 nel 1990 erano sufficienti sette dischetti. Un’immagine di Windows 10 richiede invece 5 GB. Servirebbero dunque all’incirca 3500 dischetti. E anche i dati delle applicazioni migrano dalla rete locale al cloud.

Data questa diversificazione, i requisiti di backup sono cambiati. Se il server è comunque su cloud è inutile riportare il backup in ufficio. Il processo contrario ha invece molto senso. Un backup nel cloud offre diversi vantaggi: l’archiviazione avviene in automatico, i dati sono separati a livello locale e protetti da fiamme e ransomware. A occuparsi della sostituzione dei dischi rigidi difettosi è il provider di servizi cloud. E se il backup richiede più spazio, è sufficiente affittarlo.

Ma poiché le imprese, le utenti del servizio cloud, cedono i loro dati, la fiducia nel provider del servizio è una condizione fondamentale, per garantire la quale sono necessari un accesso sicuro e cifrato e condizioni di protezione dei dati adeguate,

oltre alla capacità del cloud di fornire backup completamente automatizzati in qualsiasi momento. I dati sul cloud godono così della massima sicurezza. Ciò vale ancora di più se i centri di calcolo si trovano in Svizzera e vantano un certificato attestante il massimo livello di sicurezza (Tier IV).

Non perdetevi i nostri contenuti!

Ricevete a scadenza regolare interessanti articoli , whitepapers e indicazioni su eventi, riguardanti temi d’attualità nell’ambito IT.

Lascia un commento

Il suo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati.*

3 commenti

  1. Nel 1969 quando ho iniziato l’apprendistato di meccanico d’auto il capo officina ordinava i pezzi ed il materiale dopo aver scritto sul nastro bucato. Inseriva questo nastro e componeva il numero. Sembra l’età della pietra. Bello da vedere.

  2. C’è un errore all’inizio di questo articolo dove si dice che l’output erano le stampanti ad aghi.
    Negli anni 60 e 70 le stampanti erano a tamburo o a nastro poi a testina.
    Le stampanti ad aghi sono successive e comunque poco utilizzate per le stampe di massa in quanto troppo lente.
    Una stampante a tamburo andava dalle 200/300 linee al minuto fino a macchine gioielli di meccanica che stampavano oltre 2.000 linee al minuto